VITTORIA COLONNA. RIME
RIME AMOROSE DISPERSE
1
Excelso mio Signor, questa ti scrivo
per te narrar fra quante dubbie voglie,
fra quanti aspri martir dogliosa io vivo.
Non sperava da te tormento e doglie,
chй se ’l favor del Ciel t’era propizio
perdute non sarian l’opime spoglie.
Non credeva un Marchese ed un Fabrizio,
l’un sposo e l’altro padre, al mio dolore
fosse sм crudo e dispietato inizio;
del padre la pietа, di te l’amore,
come doi angui rabidi affamati
rodendo stavan sempre nel mio core.
Credeva piщ benigni aver i fati,
chй tanti sacrifici e voti tanti
il rettor de l’Inferno avrian placati;
non era tempio alcun che de’ miei pianti
non fosse madefatto, nй figura
che non avesse de’ miei voti alquanti.
Io credo lor dispiacque tanta cura,
tanto mio lacrimar, cotanti voti,
chй spiace a Dio l’amor fuor di misura,
benchй li fatti tuoi al Ciel sian noti,
e quei del padre mio volan tant’alto
che mai di fama e gloria saran voti.
Ma or in questo periglioso assalto,
in questa pugna orrenda e dispietata
che m’ha fatto la mente e ’l cor di smalto
la vostra gran virtщ s’и dimostrata
d’un Ettor, d’un Achille; ma che fia
questo per me, dolente, abbandonata?
Sempre dubbiosa fu la mente mia;
chi me vedeva mesta giudicava
che me offendesse absenzia o gelosia,
ma io, misera me! sempre pensava
l’ardito tuo valor, l’animo audace,
con che s’accorda mal fortuna prava.
Altri chiedevan guerra; io sempre pace,
dicendo: assai mi fia se ’l mio Marchese
meco quieto nel suo stato giace.
Non noce a voi seguir le dubbie imprese,
m’a noi, dogliose, afflitte, ch’aspettando
semo da dubbio e da timore offese;
voi, spinti dal furor, non ripensando
ad altro ch’ad onor, contr’il periglio
solete con gran furia andar gridando.
Noi timide nel cor, meste nel ciglio
semo per voi; e la sorella il fratre,
la sposa il sposo vuol, la madre il figlio;
ma io, misera! cerco e sposo e patre
e frate e figlio; sono in questo loco
sposa, figlia, sorella e vecchia matre.
Son figlia per natura, e poi per gioco
di legge natural sposa; sorella
e madre son per amoroso foco.
Mai venia peregrin da cui novella
non cercassi saper, cosa per cosa,
per far la mente mia gioiosa e bella,
quando, ad un punto, il scoglio dove posa
il corpo mio, che giа lo spirto и teco,
vidi coprir di nebbia tenebrosa,
e l’aria tutta mi pareva un speco
di caligine nera; il mal bubone
cantт in quel giorno tenebroso e cieco.
Il lago a cui Tifeo le membra oppone
boglieva tutto, oh spaventevol mostro!
il dм di Pasca in la gentil stagione;
era coi venti Eulo al lito nostro,
piangeano le sirene e li delfini,
i pesci ancor; il mar pareva inchiostro;
piangean intorno a quel i dei marini,
sentend’ad Ischia dir: «Oggi, Vittoria,
sei stata di disgrazia a li confini,
bench’in salute ed in eterna gloria
sia converso il dolor; chй ’l padre e sposo
salvi son, benchй presi con memoria».
Alor con volto mesto e tenebroso,
piangendo, a la magnanima Costanza
narrai l’augurio mesto e spaventoso.
Ella me confortт, com’и sua usanza,
dicendo: «No ’l pensar, ch’un caso strano
sarebbe, sendo vinta tal possanza».
«Non puт da li sinistri esser lontano»,
diss’io, «un ch’и animoso a li gran fatti,
non temendo menar l’ardita mano.
Chi d’ambiduo costor trascorre gli atti
vedrа tanto d’ardir pronto e veloce;
non han con la Fortuna tregua o patti».
Ed ecco il nuncio rio con mesta voce
dandoci chiaro tutto il mal successo,
che la memoria il petto ognor mi coce.
Se vittoria volevi io t’era a presso,
ma tu, lasciando me, lasciasti lei,
e cerca ognun seguir chi fugge d’esso.
Nocque a Pompeo, come saper tu dei,
lasciar Cornelia, ed a Catone ancora
nocque lasciando Marzia in pianti rei.
Seguir si deve il sposo dentro e fora,
e s’egli pate affanno ella patisca,
e lieto lieta, e se vi more mora;
a quel che arrisca l’un l’altro s’arrisca;
equali in vita equali siano in morte,
e ciт che avien a lui a lei sortisca.
Felice Mitridate e tua consorte,
che faceste equalmente di fortuna
i fausti giorni e le disgrazie torte!
Tu vivi lieto, e non hai doglia alcuna,
chй, pensando di fama il novo acquisto,
non curi farmi del tuo amor digiuna;
ma io, con volto disdegnoso e tristo,
serbo il tuo letto abbandonato e solo,
tenendo con la speme il dolor misto,
e col vostro gioir tempr’il mio duolo.
2
Quel valor che nel mondo oggi s’intende
con sм gran voce in maggior grado sale;
mi’ ardor, che a la sua gloria poggia equale,
struggerа il cor, che sol d’amor s’accende.
Onde il pensier che sia qui lieta rende
l’alma nel foco e illesa al fiero strale;
s’a tanto obietto poi sua forza и frale
l’offenderа col ben che or la difende.
Frena dunque, Signor, l’ardente voglia
che al Ciel ti spinge con sм altere scorte
che di Fortuna omai non teme sdegno;
anzi, cresca tua gloria e la mia doglia.
Qual vita giunse a sм onorato segno
che non invidi a sua onorata morte?
3
Vid’io la cima, il grembo e l’ampie falde
del monte alter che ’l gran Tifeo n’asconde
fiammeggiar liete, e le vezzose sponde
del lito bel di lumi ornate e calde
per le tue glorie, che fian chiare e salde
mentre stabil la terra e mobil l’onde
vedrem, senza timor d’esser seconde,
sм che tal piaga il mondo unqua risalde.
Ovunque io mi volgea trionfo novo
scorgea per l’opre degne, e udia d’intorno
de l’alto tuo valor lodi immortali;
nй questo, Signor mio, fu solo un giorno,
ma gl’anni tuoi sм ben dispesi i’ trovo
che nel gran merto i dм fur tutti equali.
4
Se quel superbo dorso il monte sempre
sostien, perch’aspirar al Ciel li piacque,
da peso e foco oppresso, cinto d’acque,
arde, piange, sospira in varie tempre.
И degno che ’l passato duol contempre
il presente gioir, chй Tifeo nacque
per alte imprese, e a forza in terra giacque;
non convien bel desir tempo distempre.
Or li dа il frutto la smarrita speme
dal qual puт aver sм lunga e chiara istoria
che compensi il piacer l’avute pene;
non cede il carco che felice il preme,
se nei spirti divini и vera gloria,
a quel che ’l vecchio Atlante ancor sostiene.
5
Amor mi sprona in un tempo ed affrena;
lo star mi strugge e ’l fuggir non m’aita;
equalmente mi spiace morte e vita;
giusto duol certo a lamentar mi mena.
Questa nova fra noi del Ciel sirena,
che per cosa mirabile s’addita,
qual io la vidi in su l’etа fiorita
sempre m’и innanzi per mia dolce pena.
La divina incredibile bellezza
raddoppia a l’alta impresa il mio valore,
chй ’l fren de la ragion Amor non prezza;
e dolendo addolcisce il mio dolore,
nй l’armi mie punta di sdegno spezza,
chй bel fin fa chi ben amando more.
6
Felice donna, a cui l’animo vinse
grave dolor, ch’al gentil petto excluse
desio di vita, e, le speranze infuse
nel cieco oblio, d’ogni timor ti cinse;
de l’altrui sangue il caro sposo tinse
la veste, alor che dal martir confuse
fur le ragioni in te, le voci chiuse,
ch’amor ne l’alma il maggior mal dipinse.
Quante morti ti tolse e lunghe e vere
quell’una, che ti diede in un momento
per fuggir grave mal piume leggiere!
Ma io, che maggior danno or provo e sento,
ho dal mio chiaro Sol voglie sм altere
ch’a mio malgrado il cor vince il tormento.
7
S’io cerco, ahi lassa! fuggir dal pensiero
che mi tormenta ognor, nulla mi vale;
e s’io lo scaccio aggiungo male a male,
chй torna con piщ impeto e piщ fiero.
S’io lo minaccio piщ superbo e altero
mi strugge e strazia, d’altro non li cale;
s’io lo lusingo ratto mette l’ale
e ascende al Ciel pur con l’usato impero.
Dunque che debbo far? Chi mi conforta?
Chi mi porgerа aita, ahi dura sorte!
contra questo pensier che mi tormenta?
Dogliomi del presente e temo il peggio;
s’a tante morti non dа fine Morte
eterno fia ’l pensier, la pena eterna.
8
Qual tigre dietro a chi l’invola e toglie
il caro pegno, oh mia dogliosa sorte!
cors’io, seguendo l’empia e dura Morte
ricca alor de l’amate adorne spoglie.
Ma, per colmarmi il cor d’eterne doglie,
sdegnosa, a l’entrar mio chiuse le porte,
chй con far nostre vite manche e torte
non empie le bramose ingorde voglie.
Vuol troncar l’ali ai bei nostri desiri
quand’han preso spedito e largo volo
per gir del cader loro alta e superba;
uopo non l’и ch’a numer grand’aspiri;
certa d’averne tutti elegge solo
l’ore piщ dolci per parer piщ acerba.
9
Deh! perchй non posso io dolermi tanto
quant’ho giusta cagione, e quanto ho voglia,
e cacciar quel pensier che l’alma spoglia
di tutti l’altri e la risolve in pianto?
Chй forse trovaria rimedio alquanto
a l’aspra pena ch’a morir m’invoglia,
chй non saria sм ardente la mia doglia
se non la coprissi io sotto altro manto.
Cosм tacendo ’l mal cresce piщ forte,
come ancor la radice del mio amaro,
celando la cagion del mio languire;
per me non c’и pietа, per me son morte
per sempre le speranze, ond’и ben chiaro
che maggior mal si trova che ’l morire.
10
Non piщ timor omai;
confirmato и il dolor, certo и l’affanno,
chй la bella cagion fa eterno il danno.
Non piщ dubbie speranze e van desiri,
chй quanto adorna il mondo una sol dramma
non torria del gran peso al miser core.
S’avanzan pur le lacrime e’ sospiri,
la memoria, il dolor, l’interna fiamma,
perchй il martir mio adegua il suo valore;
chй in terra nй in Ciel more
la virtщ che a goder d’ambiduo vale;
onde и qui glorioso un immortale.
11
Sorge nel petto mio pena e dolore,
agli occhi pianto, al cor doglia e sospiri;
piange la terra, ovunque vada o miri
trovo sol chi m’affligga e m’addolore,
poi che colui che fu del mondo onore,
felice met’a’ miei caldi desiri,
morte, per far eterni i mie’ martiri,
troncт degli anni suoi nel piщ bel fiore.
Poca terra ricopre il suo bel manto,
ma la fama e ’l valor resta immortale,
l’anima gode in Ciel tra festa e canto.
Invide Parche, e pronte al mio gran male,
ben vi potete omai dar gloria e vanto,
ch’al mondo mai troncaste un nodo equale.
12
Perchй del tauro l’infiammato corno
mandi virtщ che con novei colori
orni la terra di suoi vaghi fiori
e piщ bello rimeni Apollo il giorno;
e perch’io veggia fonte o prato adorno
di leggiadre alme, o pargoletti amori,
o dotti spirti a pie’ di sacri allori
con chiare note aprir l’aere d’intorno;
non s’allegra il cor tristo, o punto sgombra
de la cura mortal che sempre il preme,
sм le mie pene son tenaci e sole;
chй quanta gioia i lieti amanti ingombra,
e quanto qui diletta, il mio bel Sole
con l’alma luce sua m’ascose inseme.
13
Quando io dal caro scoglio guardo intorno
la terra e ’l mar, ne la vermiglia aurora,
quante nebbie nel ciel son nate alora
scaccia la vaga vista, il chiaro giorno.
S’erge il pensier col sol, ond’io ritorno
al mio, che ’l Ciel di maggior luce onora;
e da questo alto par che ad or ad ora
richiami l’alma al suo dolce soggiorno.
Per l’exempio d’Elia non con l’ardente
celeste carro ma col proprio aurato
venir se ’l finge l’amorosa mente
a cambiarmi ’l mio mal doglioso stato
con l’altro eterno; in quel momento sente
lo spirto un raggio de l’ardor beato.
14
Quanto invidio al pensier ch’al Cielo invio
l’ali sм preste, ch’a lui non contende
lo spazio il giunger tosto al Sol ch’accende
fra le speranze morte il voler mio.
Potess’io almen tuffar nel cieco oblio
la memoria del bene, ond’ora prende
tal forza il duol, che ’l cor non sempre intende
quanto lungi dal ver vola il desio
che pur qui va cercando i chiari raggi
degli occhi amati, nй Ragion l’appaga
che li dimostra piщ lucenti in Cielo,
ma ’l primo obietto segue, e quei viaggi
son troppo erti al mio pie’, finchй la vaga
aura vital sostien quest’uman velo.
15
Vivo su questo scoglio orrido e solo
quasi dolente augel che ’l verde ramo
e l’acqua pura aborre, e a quelli ch’amo
nel mondo ed a me stessa ancor m’involo
perchй expedito al Sol ch’adoro e colo
vada il pensiero, e se ben quanto bramo
l’ali non spiega, pur, quand’io il richiamo,
volge da l’altre strade a questa il volo,
e ’n quel punto che giunge lieto e ardente
lа ’ve l’invio, sм breve gioia avanza
qui di gran lunga ogni mondan diletto.
Ma se potesse l’alta sua sembianza
formar quant’ella vuol l’accesa mente
parte avrei forse qui del ben perfetto.
16
S’equal vedessi al mio subietto il canto,
o le lacrime pari al duol ch’io sento,
saria men grave e piщ noto il tormento,
ed ei sovra i lodati avrebbe il vanto;
ma levar mortal voce ove quel santo
lume volт pur col pensier pavento,
onde del troppo ardir mi doglio e pento,
e vorrei questo stil volger in pianto,
chй, s’a l’ardente cor possibil parve,
devea tentar la nostra acerba doglia
vincer in prima, e poi parlar d’un Sole;
ma sм vaga tal luce a l’alma apparve
ch’ancor d’arbitrio e libertа la spoglia,
onde forza и seguir quel ch’Amor vole.
17
Rami d’un arbor santo e una radice
ne diede il mondo, ma son chiare e intere
l’alme sue frondi, e le mie manche e nere,
onde diversi frutti Amor n’elice.
Ben fтra a par di lor suo stil felice
s’io per lui degna scorta a l’alte spere
fossi, a Parnaso e l’altre glorie vere,
com’agl’amanti Laura e Beatrice.
Sм che per far eterna qui memoria
di lui volga il purgato e raro stile
a tal ch’allarghi il volo ai bei penseri;
chй poggiando ognor piщ sua immortal gloria
cader non puт la mia depressa e umile,
poi del suo onor vanno i miei spirti alteri.
18
Se a l’alto vol mancar le ardite penne,
d’altro conteste che di fragil cera,
colui ch’accende in Ciel la quinta sfera
dal sommo Padre tal decreto ottenne.
Quel cerchio invidia tal mai non sostenne;
ch’и di fama e virtщ gloria sм vera
mostrarsi in un subietto forse intera
miracol ch’a’ dм nostri solo avvenne.
Nй l’un fu ardito in guerra armato opporse,
tanto lume divin scorger li parve,
nй l’altro irato in lui fulgor contorse.
Morte mandar con sм fallaci larve
che lieta e inerme a l’incontro li corse;
non cadde giа, ma dal mondo disparve.
19
Ne la dolce stagion non s’incolora
dei nati fior o ver frondi novelle
la terra, nй sparir fra tante stelle
nel piщ sereno ciel la vaga aurora
con quanti alti pensier s’erge ed onora
l’anima accesa, ricca ancor di quelle
grazie del lume mio ch’altere e belle
mostra ardente memoria d’ora in ora.
Tal potess’io ritrarle in queste carte
qual l’ho impresse nel cor, chй mille amanti
infiammerei di casti fochi ardenti;
ma chi potria narrar l’alme consparte
luci del mortal velo, e quelli intenti
raggi de la virtщ sм vivi e santi?
20
D’ogni sua grazia fu largo al mio Sole
il Ciel, che di virtщ l’animo cinse,
e ’l volto di color vaghi dipinse,
e diede alto concento a le parole.
Di qui nacque il desio, com’Amor vole,
che dal veder e da l’udir constrinse
la mente, in cui quel lume non si estinse,
ma serba ancor le forme intere e sole.
Gli altri semplici sensi che non fanno
concordia, onde beltа nasce, e quel vero
divino amor che gentil alma accende
non mi fur mai cagion di gioia o affanno;
chй ’l chiaro foco mio fa il cor sм altero
ch’ogni basso pensier sempre l’offende.
21
Quel Sol che su dal Ciel l’alma innamora
tosto per l’onorata angusta strada
corse, per far del mondo ogni contrada
ricca de la sua gloria in sм breve ora.
Non era in mezzo l’emispero ancora
il suo bel giorno, e de l’invitta spada
Ermo tremava, e Nilo. Ahi, come aggrada
a Morte ch’anzi tempo ogni ben mora!
Occaso non li die’, chй sempre in orto
vivrа la luce sua, per cui rinasce
virtute al cor quand’и dal martir spenta.
Giuns’ei qui de l’onor al vero porto;
or gode al Ciel in Dio l’alma contenta,
e la mia qui del suo valor si pasce.
22
Imposto fine a tutti i rei contrasti
del viaggio terren, mio sacro nume,
portato da le istesse altere piume,
glorioso e felice al Ciel volasti;
prima di fede e amor gli amici armasti,
per dar lor poi celeste alto costume
quando lo spirto eterno in foco e lume
pien di divino ardor lieto mandasti.
Aver lo scettro de l’eterno Impero,
dare a noi la salute, al Padre onore,
fur degni pregi di cotanto erede;
godo de la tua gloria sol per fede
in questo exilio, e, mercй vostra, spero
goder la pace in patria per amore.
23
Le meraviglie che fra noi comparte
il Ciel, alor che con benigni aspetti
suoi lumi accende a produr tali effetti
che ’l poter suo maggior ne mostri in parte,
d’intorno lampeggiar chiare consparte
al mio Sole vid’io; voi, spirti eletti
ch’adornate sм rari alti concetti,
onorate di lui le vostre carte,
e, fore d’ogni obietto, i sacri inchiostri,
chй dal lume divin piщ larga vita
avranno i bei felici studi vostri.
Se breve caldo qui, beltа finita,
vi sprona tanto, or dagli eterni chiostri
quanto accender vi de’ luce infinita?
24
Alma mia luce, infin ch’al Ciel tornasti
fra tanto dolce onor pur ti fu amaro
che ’n piщ lodata impresa il valor chiaro
sol con l’alto desio sempre mostrasti;
ora il dissegno bel ch’alor formasti
colorir vedi, e farsi exempio raro
da la man de l’invitto fratel caro
a cui l’armi e l’onor sicur lasciasti;
il qual, di fregi e di virtuti adorno,
col lume de le tue tante vittorie
unqua non mosse il pie’ felice indarno;
e se d’immortal nomi ha ornati intorno
Adige, Po, Tesin, Sebeto ed Arno,
l’Istro or lo chiama a piщ pregiate glorie.
25
Quel bel ginepro, cui d’intorno cinge
irato vento, nй per ciт le foglie
sparge nй disunisce, anzi raccoglie
la cima i rami, e poi se stesso stringe,
l’animo stabil mio, Donna, dipinge,
combattuto ad ognor, ma, se discioglie
Fortuna l’ira, ei la raffrena e toglie
sol vincendo il dolor che la sospinge
con chiudersi e coprir ne’ gran pensieri
del Sol amato, nel cui lume, involta
da l’aspra guerra, altera l’alma riede.
A quell’arbor Natura insegna a’ fieri
nimici contrastare, e a me la molta
ragion vuol che nel mal cresca la fede.
26
Spent’il mio chiaro Sol, tenebre nove
manda ogni giorno al cor l’empia nimica
che del mio mal le voglie sue nudrica,
ma dal primo voler le mie non move.
Dal basso segno omai non volge altrove
per me l’instabil rota, e s’affatica
tirarla al centro, e ’n Ciel stella sм amica
non sent’io che s’opponga a le sue prove.
Sol mi ricopro e chiudo entro ’l pensero
del lume mio, tal che riparo e schermo
quel stesso porge, onde la guerra nasce.
Ei fece al suo sparir lo spirto infermo
contra i colpi mortali, ed ei lo pasce
dal Ciel pietoso col suo cibo vero.
27
Quanto piщ arroge a le mie antiche pene
Fortuna affanni io da l’usato pianto
piщ vigor prendo ognora, e puт ben tanto
l’alta cagion ch’a forza mi sostiene.
E se ne’ miei sospir d’empie sirene
soave ascolto e periglioso canto
mi consola e diletta, e questo и quanto
sperar poss’io dal tristo mondo bene,
chй come quelli a cui fin da le fasce
il velen cibo и stato, e la sua vita
di quel nudrica che tutt’altri offende,
cosм il mio cor di foco ancor si pasce
tant’anni, e di dolor, col qual s’aita
e contra ogn’altro mal per schermo il prende.
28
Tralucer dentro al mortal vel consparte,
quasi lampe cui serra un chiaro vetro,
mille luci vid’io, ma non mi spetro
dal mondo sм ch’io le dipinga in carte.
Amor ne l’alma accesa a parte a parte
vere l’impresse giа molti anni a dietro,
onde ei spinge il desio ed io m’arretro
da l’opra ch’ogni ardir da sй disparte.
E s’avien pur ch’io ombreggi un picciol raggio
del mio gran Sol, da lacrime e sospiri
quasi da pioggia o nebbia appar velato.
S’in amarlo fu audace, in tacer saggio
sia almeno il cor, ch’omai sdegna il beato
spirto che mortal lingua a tanto aspiri.
29
Sperai che ’l tempo i caldi alti desiri
temprasse alquanto, o dal mortale affanno
fosse il cor vinto sм che ’l settimo anno
non s’udisser sм lungi i miei sospiri;
ma perchй il mal s’avanzi o perchй giri
senza intervallo il sole, ancor non fanno
piщ vile il core o men gravoso il danno,
chй ’l mio duol sprezza il tempo ed io i martiri.
D’arder sempre piangendo non mi doglio;
forse avrт di fedele il titol vero,
caro a me sovr’ogn’altro eterno onore.
Non cangerт la fe’ nй questo scoglio
ch’al mio Sol piacque, ove fornire spero
come le dolci giа quest’amare ore.
30
Il parlar saggio, e quel bel lume ardente
che nй morte nй tempo avaro ammorza,
onde s’accese e armт di tanta forza
il mio cor, quant’ha poi mostro sovente,
ascolto sempre, e veggio ognor presente,
chй non me ’l vieta la terrena scorza,
la qual, e spesso, di poter ne sforza
a sciorre e alzar sovra di lei la mente.
Celeste luce ed armonia soave,
ch’a men chiaro splendor, men dolce suono,
gli occhi e l’orecchie m’han velati e chiuse;
l’esser meco talor non ti sia grave,
spirto beato, che qui in terra sono
u’ le tue glorie son larghe e diffuse.
31
S’io non dipingo in carte il sovra umano
del roman nostro padre almo valore
intenta caritа, pietoso amore,
fa mancar il pensier, cader la mano.
Poscia le glorie sue l’umil e piano
mio stil non giunge al casto amico ardore;
richiama l’alma accesa i giorni, e l’ore
vuol ch’io consumi lacrimando invano.
Toglie a l’amato Sol la luce altera
il canto mio, ma l’amorosa forza
contra ragion la cieca voglia spinge;
diversa passion per l’un rinforza
e per l’altro ’l desio raffrena e stringe,
ma questa e quella fiamma io serbo intera.
32
Quando piщ stringe il cor la fiamma ardente
corro a l’alme faville ond’esce il foco;
ivi piщ ognor m’accendo, ivi m’alloco
e per sм dolce ardor l’alma il consente.
D’appressarsi al suo mal rimedio sente,
sprezza il martir per apprezzar il loco,
a la cagion si volge, e prende in gioco
il grave duol de l’affannata mente.
Nasce dal vivo lume un raggio tale
che di ricca speranza ognor m’adorna,
e poi mia fede un lieto fin predice.
Chi non adora un valor senza equale?
Chi non contempla un Sol che sempre aggiorna?
Chi non ammira sм nova fenice?
33
Se l’empia invidia asconder pensa al vostro
lume, mio Sol, un raggio, alora alora
di sette altri maggior v’adorna e onora,
quasi Idra bella, nova al secol nostro,
con chiare voci e con purgato inchiostro
ogni spirto gentil, finchй l’aurora,
ov’il sol cade, il lume eterno adora
com’idol sacro o divin raro mostro;
e quel cieco voler, che non intende
l’altera luce, u’ piщ celar la crede
piщ la discopre, e se medesmo offende.
L’occhio a l’obietto bel conforme il vede
sempre piщ chiaro, onde per voi s’accende
a virtщ il buono, il suo contrario cede.
34
Se per salir a l’alta e vera luce
dai bassi ombrosi e falsi sentier nostri
и ver, Amor, che la strada erta mostri
di virtщ che lа su ne riconduce,
so ben che ’l vostro lume ivi riluce,
dolce mia fiamma, ch’ai bei desir vostri
fu, mentre schivi andar per questi chiostri
terreni, ardor divin sol guida e duce.
Se d’ambrosia e di nettar larga mensa
dona ai suoi cari eletti il sommo Giove,
e chi piщ l’ama qui piщ onora in Cielo,
quante lodi e dolcezze in voi dispensa
eterne, e sempre nel diletto nove,
la giusta man col santo ardente zelo!
35
Quel Sol, che m’arde ancor, spesso vid’io
di sua propria virtute schermo farsi
contra Fortuna, e ne l’alta ritrarsi
e faticosa torre al tempo rio,
e, del solo d’onor caldo desio,
sicuro da le insidie ascose, armarsi,
e, ne’ perigli di consiglio scarsi,
se stesso e ogni timor porre in oblio.
Morte mi tolse e la mia cruda stella
il vederlo, di giusto sdegno acceso,
cacciar la fera gente a Dio rubella;
grave era ben, ma degno un tanto peso
di lui, ch’a sм pregiata gloria e bella
ebbe sempre l’altero animo inteso.
36
Di lacrime e di foco nudrir l’alma,
con secca speme rinverdir la voglia,
legar di novo il cor quando discioglia
sdegno maggior la vista altera ed alma,
m’insegna Amor, e agevolar la salma
mentre piщ alto il bel pensier m’invoglia,
e nel dolce cader scemar la doglia,
perch’abbia altrui del mio languir la palma.
Soave cibo mi и il pianto e l’ardore,
le perdute speranze un giusto freno
ch’indietro volge il giа corso desire.
Il tormento m’apporta largo onore,
chй, per virtщ del bel lume sereno,
di par a la mercй piace il martire.
37
Dove sono ora le mie fide scorte,
e dove tengon volti i chiari rai?
Vedrт quel dм ch’io le riveggia mai,
chй non si puт patir sм lunga morte?
Quando con dolci accenti quelle accorte
parole mi diranno: «Or vivi; omai
asciuga ’l pianto, ch’hai tu pianto assai;
ecco ’l tuo Sol, che ’l Ciel t’ha dato ’n sorte!»?
E quando quella man sм desiata
potrт basciar, contandole piщ d’una
volta la pena mia, che ogn’altra avanza?
Oh me felice! e piщ ch’altra beata
se non s’opponerа l’empia Fortuna
a sм caldo desio pien di speranza!
38
Sovra del mio mortal, leggiera e sola,
aprendo intorno l’aere spesso e nero,
con l’ali del desio l’alma a quel vero
Sol, che piщ l’arde ognor, sovente vola,
e lа su ne la sua divina scola
impara cose ond’io non temo o spero
che ’l mondo toglia o doni, e lo stral fero
di morte sprezzo, e ciт che ’l tempo invola,
chй ’n me dal chiaro largo e vivo fonte
ov’ei si sazia tal dolcezza stilla
che ’l mel m’и poi via piщ ch’assenzio amaro,
e le mie pene a lui noiose e conte
acqueta alor che con un lampo chiaro
di pietade e d’amor tutto sfavilla.
39
Mosso d’alta pietа non move tardo
il Sol che seco in Ciel mi ricongiunge,
ma viene ognor piщ lieto, e sempre giunge
al maggior uopo, ond’io pur vivo ed ardo.
Quant’egli puт dal primo acuto dardo
risana il cor, e con piщ saldo il punge
ora che, col pensier fido, da lunge
a quel ch’esser solea felice il guardo.
Gli occhi che Morte mi nasconde e cela,
ond’uscio ’l foco ch’ancor l’alma accende,
fur chiari specchi in terra al viver mio;
or quel raggio che ’l Ciel non mi contende
mi mostra ove drizzar convien la vela
per questo mar del nostro secol rio.
40
S’и ver, com’egli dice, ch’io sospinta
d’alto infinito ardor viva di fede
sм, che lo spirto, alor che troppo excede,
lascia basso la carne inferma e vinta,
com’esser puт che essendo intorno cinta
del bel raggio immortal, che ogni ombra vede,
non scorga questo error, sei pur non crede
esser la luce in me morta o dipinta?
Ma s’ella и viva io so che con soave
voce lo sposo chiama, e vuol s’aspetti
opra e valor qui d’arte e di natura,
ond’a quei ch’hanno in lui di me la cura
di fuor la lascio, e dentro i puri affetti
volgo al Signor ch’ha del mio cor la chiave.
41
И sм giusto il pensier che mi tormenta
che m’и grato il morir per tal cagione;
fa li sensi subietti a la ragione
e scaccia ogni altro che d’entrar vi tenta.
Quindi nasce il dolor che mi contenta
in amar libertа, dolce prigione,
in gentil foco che in nulla stagione
ne fia mai dramma o una scintilla spenta.
Nй Fortuna potrа, nй Tempo o Morte,
nй loco far ch’io cambi altro pensero,
onde scorgo del Ciel la vera strada,
chй i raggi del mio Sol m’apron le porte.
Veggio del Gran Motore il lume vero,
onde convien ch’al mondo altera io vada.
42
Principio e fin de la mia fiamma eterna,
che, con mirabil forza e celest’arte,
arde del cor la piщ secreta parte
senza toccar di me quest’altra externa,
fa’ che per grazia omai senta e discerna
che ’l chiaro vivo ardor da me non parte,
nй puote il senso raffreddarlo in parte
se divina ragion l’accende e interna.
Devrebben star pur sempre i pensier fissi
nel foco bel che ne consuma e accende
per rinovarne in piщ sicura vita;
ma di quel vero ben non vede o intende
una sol stilla di infiniti abissi
quella mente del Ciel qui piщ gradita.
43
Assai lungi a provar nel petto il gielo
di noiosi pensier ch’apportan gli anni
alora er’io, chй ’n tenebre ed affanni
mi lasciasti, o mio Sol, tornando al Cielo.
Indegna forse fui del caldo zelo
onde tu acceso apristi altero i vanni
infiammarmi a schivar l’ire e gli inganni
del mondo e sprezzar teco il mortal velo.
Tu volasti leggier; io sotto l’ali
che tu spiegavi avrei ben preso ardire
salir con te lontana ai nostri mali.
Lassa! ch’io non fui teco al tuo partire,
e le mie forze senza te son tali
ch’or mi si toglie il viver e ’l morire.
44
Mentr’io qui vissi in voi, lume beato,
e meco voi, vostra mercede, unita
teneste l’alma, era la nostra vita
morta in noi stessi e viva ne l’amato.
Poi che per l’alto e divin vostro stato
non son piщ a tanto ben qua giщ gradita
non manchi al cor fedel la vostra aita
contra ’l mondo vиr noi nimico armato.
Sgombri le spesse nebbie d’ogn’intorno
sм ch’io provi al volar spedite l’ali
nel giа preso da voi dextro sentero;
vostro onor fia ch’io chiuda a’ piacer frali
gli occhi in questo mortal fallace giorno
per aprirli ne l’altro eterno e vero.
45
Quand’io scorgo, dubbiosa, il fango e l’ombra
del cieco mondo, e i lacci, e quel possente
van desir d’alto acquisto che sovente
sotto falso piacer d’error n’ingombra,
io mi rivolgo al bel pensier ch’adombra
la cara effigie entro l’accesa mente,
tal ch’al cor la riporta, onde l’ardente
raggio d’ogni timor tosto il disgombra.
Vien lieto al gran bisogno, e pone in bando
quant’ignoranza sм folle vaghezza
forse avea posto a men saldi penseri;
ond’io m’onor felicemente amando
lo spirto alter, che con soave asprezza
fuga i falsi piacer mostrando i veri.
46
Mossa d’alta cagion, foco mio raro,
mentr’io qua giuso in voi mirava spesso,
avrei voluto lo mio spirto istesso
nel vostro trasformar, piщ d’altri chiaro.
Quel divin, ch’or in sй chiude l’avaro
Ciel, tenea l’alma mia sol dentro impresso;
nй il bel di fuor, ch’agli occhi fu piщ a presso,
a lei del vero accesa era sм caro.
Ond’io, tremando e ardendo, i dolci rai
seguia piщ lieta, ognor me stessa e ’l mondo
sprezzando come cose inferme e frali.
Ben prese il mio terrestre e grave pondo
da quel celeste ardor sм leggiere ali
ch’io non cadrт senza levarmi omai.
47
Audace mio pensier, mentre presenti
sempre l’imagin bella, il corso frena
sм che maggior desir con nova pena
nel piщ bel stato mio non mi tormenti.
Ivi lieto ti ferma, e sol consenti
che da la luce angelica serena
sia di tanto valor l’alma ripiena
che del futuro mal non si sgomenti.
Mentre dura ’l piacer la ingorda voglia
cessi, chй quando il bel lume si asconde
per l’uno e l’altro mal cresce l’affanno,
e se ’l breve riposo non mi spoglia
di prime pene non avran seconde,
ch’a sм poca virtщ soverchio и ’l danno.
48
Dal soverchio desio nasce la tema,
e fa che l’alma in un gioisca e gema.
Sente l’ardor che ’l miser core offende
quando dal suo imperfetto
il sublime valor non si comprende.
Ma poi che ’l lume irradia l’intelletto,
il mal fugge e la noia,
e sol m’apporta gioia,
e fa l’altezza del mio bel pensero
il falso falso e ’l ver piщ che mai vero.
49
M’arde ed aghiaccia Amor, lega ed impiaga;
or foco, or neve, or laccio, or stral m’offende,
ma gli occhi, il petto, il crine la mi prende
con modo tal che d’ogni mal m’appaga.
Anzi, fa che non sia mortal la piaga,
che ’l foco non consumi onde s’accende
il nodo, i membri ancor fratti non rende,
che pur del freddo umor sia l’alma vaga.
E sм dolce и l’incendio, e grato il ghiaccio,
i legami soavi, il dardo ameno,
che giova piaga, ardor, prigion e gielo;
ond’io felice avolta al vago laccio
gelido, vulnerato e d’ardor pieno,
ringrazio il Fato, Amor, Natura, il Cielo.
50
Come superba suol fiamma sovente
correr licenziosa, ond’in brev’ora
quanto s’adopra a spegnerla divora,
tal che del suo rimedio altri si pente,
cosм dal foco mio chiaro ed ardente
ove l’alma si strugge, ove s’onora,
quante lacrime il cor li manda ognora
contra se stesso consumar le sente.
Nй solo il pianto si risolve in danno,
ma quanti io formo liberi penseri
nel servo mio desio converte Amore,
e quasi infermo ch’omai si disperi,
che attende al cibo e pur manca il vigore,
contra la mia salute anch’io m’affanno.
51
Fuor di me tutto in quello entra il mio core
dove questi occhi miei li aprir la via,
e quando dal mio seno egli giа uscia
alto gridai: «Dove il conduci, Amore?».
Egli, con volo audace: «Al proprio errore»,
rispose; «quel ch’io custodir solia
con tanta forza e tanta gelosia
che non ha piщ di ritornar valore».
Niun soccorso a me vien da mia ragione;
ella contra d’Amor si trova imbelle,
e a’ suoi consigli il mio furor s’oppone.
Quinci non spero piщ d’uscir di quelle
torte e dubbiose vie ch’Amor compone,
e so che l’error mio forza и di stelle.
52
Occhi, piangiamo tanto
che voi perdiate il lume ed io il timore
di non veder piщ mai luce minore,
che se basta mio ardir, vostro vigore,
a penetrar il Cielo,
sdegnar debbiamo ogni altra vista in terra,
e con l’imagin bella sculta al core,
scarca d’ogni altro zelo,
contempliamo il valor ch’ivi si serra,
e avrem per breve guerra
eterna pace; a lei debito onore
darem fuggendo d’Atteon l’errore.