Биографический очерк о Марсии Теофило, подборка стихотворений (на итальянском языке). Фото поэтессы.

Опубликовано: 18 febbraio 2002.
Автор: Di Valentina Acava Mmaka.

Marcia Théophilo
Figlia della Foresta Amazzonica

Mi accoglie sulla porta Màrcia con il suo sorriso sincero e gli occhi che dicono il Brasile. In un grande appartamento nel cuore di Roma la incontro, è la sua casa, il suo laboratorio, suo e del suo compagno il pittore Aldo Turchiaro, autore delle copertine dei suoi libri. Entro nella nicchia di Màrcia, dove pensa, crea, custodisce. Oggetti sparsi ovunque senza un ordine logico. Tele appoggiate ai muri, talune dipinte altre ancora incartate in attesa di essere popolate da delfini, uccelli maestosi e creature mitologiche dai colori folgoranti che sanno di fiaba, e poi carte, libri, coppe, targhe, premi, articoli di giornale, i disegni e le poesie di Raphael Alberti a lei dedicati: ogni cosa parla, ogni oggetto emana un profumo, racconta un’esperienza, un capitolo della sua vita.
Le vocali arrotondate del suo accento brasiliano sensuale e gioioso dicono il calore del suo paese, della sua gente allegra, generosa. Un incontro familiare per me che dell’Africa sono figlia, amica, amante, madre, sorella. Come l’Africa anche il Brasile di Màrcia Théophilo mi offre l’opportunità di esplorare i miti, le musiche, i ritmi, le ragioni, le voci delle sue tante genti. Un’umanità tutta da scoprire che nella poesia di Màrcia si svela nei nomi dai sapori di frutti. Ma l’incontro con Màrcia mi dà soprattutto modo di parlare della sua opera di poeta donna per la difesa e la salvaguardia della Foresta. Lei, figlia della foresta che non è mai stata solo a guardare lo stupro che le hanno inflitto e stanno selvaggiamente perpetrando ma ha raccontato, racconta, esplora, scopre, ricerca i significati delle sue creature misteriose, affascinanti, uniche.
E così da questo angolo di Roma a due passi dal Lungotevere, sulle note della sua voce che recita versi evocativi di un microcosmo a cui tutti noi apparteniamo ma che sovente ignoriamo, mi trovo immersa nella Foresta Amazzonica quella della Dea Giaguaro e dei bambini dai nomi di fiori.

Intervista – Poesie – Nota bio-bibliografica – Riconoscimenti e Premi

Màrcia tu sei nata a Fortaleza, sulla costa Nord orientale del Brasile, quali sono i ricordi più vivi della tua infanzia brasiliana?
Sono cresciuta insieme ad altri bambini, alle variopinte specie degli uccelli. Conosco la foresta fin dall’infanzia, i miei nonni paterni venivano dall’Amazzonia, dove mio padre è nato. Nell’Amazzonia della mia infanzia, i bambini vivevano nei villaggi in piena libertà, giocavano e il gioco stesso insegnava loro a vivere, a procurarsi il frutto degli alberi, ad imitare il suono degli uccelli e degli altri animali, a vivere la pioggia e l’acqua come elemento ludico.

Arriva Ararí, gli altri formano il cerchio
iraçù è lo sparviero reale: per imitarlo
uno dei bambini indossa ali di penna
“Più — ho fame” grida iuraçù
stende la gamba uno dei bimbi
e poi l’altra chiedendo:
“tú sena seni? — è questo che vuoi?”
lo sparviero risponde: “è pela — no”
fin quando arriva all’ultimo bambino
quasi sempre il minore, che è Ararì
“tú sena seni?”. “Sì”
e volano i capelli di Ararí, mentre lei corre
senza mai spezzare la catena, senza cadere mai
lo iuraçú ritorna al proprio posto
e il gioco ricomincia “tú sena seni?”
Nei paesi africani ma anche latinoamericani, la famiglia rappresenta un punto fermo nella vita delle persone. La famiglia è grande, si partecipa, ci si riunisce, si sta insieme anche con poco. Tu in che tipo di famiglia sei cresciuta?

La mia era una famiglia numerosa, Mia nonna è nata nella foresta, mio padre è anch’egli un figlio dell’Amazzonia. L’incontro con queste persone straordinarie, così fiere, corrisponde all’inizio della mia ispirazione lirica. La famiglia di mia madre, invece, di origine portoghese, rappresentava per me la città, la scuola, le regole di vita europee.
Come definiresti la tua infanzia?

Io dico che il poeta è l’infanzia. La mia infanzia è stata piena di spazi immensi, di grandi alberi, di colori sgargianti dei fiori e dei frutti e tutto questo è la mia poesia.
Quali erano le favole o le leggende che ti raccontavano da piccola?

La mia nonna paterna è stata la prima persona che mi ha raccontato i miti, le grandi visioni del fiume, le voci del vento, le metamorfosi della luna, le storie delle sirene e del folletti, mettendomi a contatto con la polifonia delle voci e dei suoni della natura, dove gli animali, gli alberi, i fiori erano personaggi che sapevano comunicare fra di loro e con gli umani. Era una grande matriarca india che raccontava storie, io le ho dedicato questa poesia.

– “Non avvicinatevi al fiume
quando il sole tramonta
non avvicinatevi al fiume
perché c’è Yara che vi invita
coi capelli verdi colore delle pietre miraquitãs”.

L’oro del fiume li bagnava di luce
– “State attenti, figli miei – diceva la vecchia india –
vi trascina all’incontro col suo canto e la sua magia
il suo canto che non finisce mai
e i suoi occhi e i suoi capelli
fanno parte del suo canto
State attenti figli miei, se Yara vi chiama,
perché Yara è fuoco dentro l’acqua,
è luna,
è un canto che non finisce,
guardatevi da Yara quando vi chiama per nome
sono abissi
evocazioni per le quali non si è mai preparati
guardatevi da Yara quando vi chiama per nome
il ritmo del suo cantare produce ondulazioni
che modificano l’aria
portano tempeste da luoghi sconosciuti,
da mari sconosciuti,
evocazioni,
non avvicinatevi al fiume
quando il sole tramonta
Guanumbì, ascolta bene
io sono vecchia, così vecchia
che già non si contano
le lune della mia età.”
Quali sono i ricordi più belli che ti legano a quel periodo?

Come ti dicevo sono cresciuta nella foresta, in piena libertà, in questo periodo, a soli cinque anni ho imparato a scrivere e da allora venni eletta dalla mia famiglia, dal mio clan, la scrivana. Per questo mi veniva portato rispetto e il mio lavoro aveva la debita considerazione. Scrivevo lettere per mia nonna, poesie per le amiche da dedicare a loro fidanzati, racconti da recitare. Ero Màrcia la scrivana e da questo precoce inizio la mia vita di poeta si è dipanata.
Quali erano le letture della tua adolescenza? Chi sono stati i personaggi letterari che ti hanno incantata?

I primi libri che ho letto – ancora durante l’infanzia, sono stati quelli di Monteiro Lobato “O sitio do picapau amarelo” (“la fattoria del picchio giallo”) che è una serie di libri molto diffusa nei paesi di lingua portoghese. Racconta storie in cui l’immaginazione, la fantasia rimescolano la realtà. Tutti i personaggi di questo libro mi affascinavano molto ma più di tutti Emilia, una bambola di stracci che sapeva parlare. Più tardi il mio personaggio preferito era Don Chiciotte.
Cosa immaginavi di fare da grande?

Sognavo di essere poeta.
Hai studiato Antropologia a Rio e San Paulo, che ricordo hai dei tuoi anni universitari in Brasile? Perché hai scelto di studiare antropologia? Cosa ti affascinava di questa scienza?

Erano anni incandescenti, di grandi cambiamenti. A me interessava il problema degli indios. Volevo capire a fondo la loro umanità così pura all’origine e per questo minacciata dalla degradazione ed esposta a grandi pericoli. Attraverso i racconti di mia nonna ho appreso il significato del profondo legame con la foresta, e attraverso le mie esperienze sono stata portata a studiare le origini della cultura india. Nel mio lavoro ho cercato di fare una fusione tra memoria emotiva e memoria culturale, tra poesia e documentazione, tra mondo arcaico e mondo contemporaneo, creando un tutt’uno in cui tutte queste materie si compenetrano. Penso però, che senza la poesia non si può arrivare all’anima della foresta. L’antropologia è una disciplina che ha finito con il privilegiare gli oggetti e la cultura materiale. Io ho privilegiato il soggetto più leggero, l’anima, la poesia.
In Brasile facevi parte di un gruppo di artisti dell’avanguardia che operavano a San Paolo, penso a M. Bonomi, Otavio Araujo, Ubirajara, L. Abramo. Quando ci si riuniva, di cosa si parlava?

Ho lavorato con importanti artisti brasiliani, scrivendo per loro poesie per i loro cataloghi e le loro mostre. Successivamente piccoli saggi di studio pubblicati in una rivista che si chiamava “Scienza e Cultura”. Entrare nel mondo di ognuno di questi artisti è diventato una pratica continua nella mia vita e l’interazione fra arte visiva e poesia sono stati per me una costante. Nel mio primo libro pubblicato nel 1974 sono riunite tutte le poesie che ho scritto sulle loro opere.
L’avanguardia storica è un fenomeno solamente europeo ed ebbe vitalità solo ai primi del novecento, dopo vi furono movimenti de neo-avanguardia. Il che vuol dire che hanno il difetto del “neo”. Grosso modo i protagonisti dell’avanguardia operano fino a prima della seconda guerra mondiale. Oggi mi sollecita tutto ciò che si è sviluppato fuori dai termini o dagli slogan inventati dalla critica e dal mercato.
Quando, invece, hai cominciato ad interessarti dell’uomo nella sua sfera emotiva, a scrivere poesie? Ti ricordi la tua prima poesia?

La sfera emotiva mi ha sempre interessata. Ho cominciato a scrivere le prime poesie a tredici anni. Erano poesie che imitavano quelle degli scrittori romantici. A quattordici anni ho mandato due haiku ad un giornale che indisse un concorso e lo vinsi. Il premio era un viaggio a Petropolis.
In qualche modo l’antropologia ti ha spinto alla poesia alla ricerca di una conoscenza completa dell’uomo?

È stata la poesia a portarmi verso l’antropologia non il contrario. La poesia evocava miti e rituali e mi dava la facoltà di percepire lo spirito di questa umanità primaria più che primitiva, allo stato originario e altissimo, vicino al mito delle origini e quindi al divino secondo l’animismo delle tribù amazzoniche. Cogliere l’essenza di tutto ciò era possibile con la poesia e con la documentazione di parole e di immagini che corrispondono ad esseri unici e insostituibili poiché ognuno di essi fa parte di questa meravigliosa civiltà antica. Certo, solo l’ultima tecnologia con la sua barbarie può essere tanto audace da penetrare in una foresta come quella Amazzonica, che aveva sigillato al suo interno l’infinita ricchezza della selva che il frastuono dei bulldozers sistematicamente sta distruggendo.
Chi sono gli scrittori che ti hanno formata letterariamente parlando?

Nell’adolescenza ho cominciato a leggere i classici portoghesi e brasiliani , per esempio Le “Lettere” di Pero Vaz de Caminha, che sono le cronache dei primi viaggi e dei primi contatti tra indios e portoghesi, José de Anchieta, “Peregrinazione” un libro di viaggi del ‘600, Eça de Queiroz, Camões, José de Alencar, Gonsalves Dias, Castro Alves. Leggevo anche i classici francesi e russi. Mi piacevano molto Racine, Victor Hugo e Camus, Tolstoj e soprattutto Dostoevskij. Amavo molto anche i poeti latini, come Lucrezio e Ovidio. I personaggi che mi hanno incantato sono molti, leggevo con molta partecipazione, ma forse più di tutti mi hanno incantata Don Chiciotte e il principe Minskin dell’Idiota di Dostoieskij.
Sei stata legata da una profonda amicizia con il poeta spagnolo Raphael Alberti anche durante il difficile periodo dell’esilio. Di te ha scritto: Con un nodo in gola/MarciaThéophilo grida,/Màrcia Théophilo canta./Cuore profondo all’erta,/dura voce di denuncia/in chiaro sorriso aperto. Cosa ti ha segnata della tua micizia con lui?

Il rapporto con Rafael Alberti nasce dalla mia ammirazione per la sua capacità di unire la pittura e la poesia in una sola arte animando i versi con delle immagini. Al di là di questo amore per la pittura e per la sua poesia, quello che mi ha unito in amicizia con Rafael è stato il suo impegno politico per la libertà. È stata una grande amicizia, devo riconoscere che ha dato un grande impulso al mio lavoro in quanto Rafael era un grande poeta dotato anche di una grande comunicazione nella recita pubblica e lì ho scoperto che anche io potevo sviluppare una comunicazione verso la gente, attraverso la recita, ma soprattutto ho capito che il mio territorio, il pozzo da cui attingere, non era la prateria della cultura europea,ma il mio Brasile e la mia Amazzonia.
Come nasce la tua poesia?

Nasce dalla musica delle parole, non da un’idea. Tutto ha origine dalla musicalità delle parole indie brasiliane.
A proposito di musica, tu hai studiato sette anni pianoforte, tua madre voleva diventassi una concertista. Quanto ha influito questo studio sulla tua poesia?

STanto, quando scrivo io associo le parole ad una melodia, ad un motivo musicale, spesso legato al flauto o al tamburo.
Tu hai scelto, nella poesia, di dare voce alla natura, la natura che vive e si riproduce, che cresce e si moltiplica ma anche e soprattutto a quella che soffre per colpa dell’uomo. Come può la poesia farsi portatrice di un’idea?

Penso che a questa domanda possa rispondere bene Franco Loi in una recensione del mio libro “Io canto l’Amazzonia”:
“Certo, la poesia non propone ideologie e né facili cambiamenti; ma si rivolge alle coscienze e alle anime, e, non da oggi, si assume il compito di tener desta nell’umanità il più alto senso della propria missione e dei propri valori.”
Màrcia Theophilo e la foresta. Ti senti più madre o figlia, o forse sono la stessa cosa?

Il mio lato indio mi dice che l’uomo e la natura sono la stessa cosa. La cultura europea con il suo concetto umanistico tende a una scissione che oggi è in crisi.
In che cosa dunque la cultura occidentale si diversifica da quella del Sud del mondo o se volgiamo nello specifico degli indios, nel suo rapporto con la natura?

La differenza tra l’idea occidentale della natura e quella nostra è che nella cultura occidentale si parla di un albero come un elemento decorativo del paesaggio, mentre noi lo consideriamo un tutt’uno con la nostra esistenza.
Oggi il Brasile è diviso in due: da una parte c’è la borghesia e un paese che sta progredendo, dall’altra parte ci sono i bambini abbandonati, gli alberi, gli animali e tutto quello che appartiene al mondo emotivo che non è inserito nel sistema economico e che il potere ignora. Solo quando il sistema stesso riuscirà a capire che le piante non sono solo un ornamento del paesaggio, ma esseri viventi sacri,e a anche vita e ossigeno, quando capirà che violare l’infanzia è mettere a repentaglio anche il futuro degli adulti, solo allora le cose potranno cambiare.
La tua poesia parla degli indios, dà loro voce, ce li descrive nel loro legame con il cosmo.

Credo alla cultura dell’ origine più di quella accademica, anche se necessaria, per cui dando ascolto al mio lato di origine paterna ho lasciato fluire quello che mi dettava l’ispirazione. Gli indios, é noto, hanno avuto una continuità ininterrotta con l’ambiente non hanno mai ricercato una separazione.
Nella tua poesia mescoli il brasiliano e l’italiano

Penso che Mario Luzi, nella sua prefazione al mio ultimo libro “Kupahùba – Albero dello Spirito Santo”, abbia spiegato bene il mio rapporto con le due lingue: “La traduzione in italiano della stessa Theóphilo fa pensare piuttosto a un testo dal doppio versante. E non è un piccolo pregio, dal momento che l’autrice si inserisce bene nel sistema ritmico e timbrico dell’italiano non sacrificando minimamente, a mio parere, il ritmo e il suono dell’originale portoghese del Brasile.”
Si dice che il destino di un uomo o una sua caratteristica siano scritte nel suo nome. Nella tua poesia si incontrano creature meravigliose, dai nomi di fiaba, quanto sono importanti i nomi nella cultura india?

I nomi che gli indios portano sono nomi di fiori, animali, divinità della foresta. È così che questi popoli usano chiamarsi a rafforzare ancora una volta il loro legame profondo con la natura.
I nomi si caricano di mistero, quanto meno si pronunciano, e i nomi indios non sono diventati comuni come quelli di lingua europea. Essendo meno conosciuti conservano una maggiore carica di mistero.
Scrivi la foresta è il mio dizionario, come fosse essa a dettare i versi delle tue poesie, è così? Che lavoro fai sulle parole?

Il dizionario è considerato comunemente quello delle parole, ma è pur sempre limitato nel numero. Quello della foresta mi sembra illimitato, infinito, dove ci sono parole nuove. Anche il mare è un dizionario, e il cielo.
Il mio è un lavoro di ricerca. Si tratta di una ricerca innanzi tutto nella mia memoria personale, nei ricordi della mia famiglia. Poi vado in cerca di un confronto direttamente sul luogo, la Foresta, cerco l’origine antica dei nomi degli alberi, dei frutti, degli animali, dei fiumi. Sono nomi che hanno già in sé il ritmo delle note musicali: araracanga, kupahùba, jabuticabeira, ubirajara, mangalô, maçarandùba.
Tu hai frequentato e frequenti molto la memoria, prima come antropologa poi come poetessa. Qual è il tuo rapporto con la memoria?

Per me la memoria non ha confini, comincia dal lontano all’indietro e prosegue lontano in avanti.
Nel tuo libro I bambini giaguaro metti a confronto i bambini che nascono e vivono nella foresta e quelli che nascono e vivono in un altro tipo di foresta, quella di cemento armato delle grandi metropoli. Ci sono ancora oggi i bambini giaguaro della foresta? E quelli della città come sono?

Il nome giaguaro è una metafora per dare ai bambini una forza che a molti bambini viene negata nei paesi latino americani.Infatti sono abbandonati nelle grandi metropoli, ed essi vagano come branchi affamati di affetto e di cibo. E un avvertimento a coloro i quali sottovalutino la loro forza e la loro presenza.
Tra i giovani poeti brasiliani hai riscontrato sensibilità per le sorti della foresta e dei popoli indigeni, voglio dire ci sono altri che hanno pensato attraverso l’arte di farsi portavoce di un causa?

Il clima politico culturale brasiliano non agevola le voci nuove, basta leggere la posizione della politica sull’Amazzonia. La politica considera l’Amazzonia un bene esclusivamente brasiliano e perciò pretendono di amministrarlo in modo nazionalistico ed è anche giusto, ma solo relativamente. Quello che sfugge ai politici e agli uomini d’affari è che se l’ossigeno che emana la foresta se ne va, tutto il pianete ne risentirà.
Cosa ti ha insegnato la poesia e cosa ti insegna tutt’ora?

Ciò che la poesia mi ha insegnato è che bisogna inventarla. Che bisogna inventare le regole e non seguirle.
Puoi indicare ai nostri lettori nomi di giovani autori brasiliani o portoghesi che meritano di essere letti e perché?

Le voci che conosco ( ho in serbo un’antologia un’antologia di poeti brasiliani da me tradotti da proporre agli editori) non sono voci controcorrente. Speriamo che ci siano delle voci nascoste.
Ai giovani poeti e scrittori brasiliani quali consigli ti senti di dare?

Di fare in modo di andare oltre i confini della politica e del potere culturale.
Hai ricevuto molti prestigiosi riconoscimenti per la tua opera. Sei anche stata candidata al Premio Nobel, cosa rappresenterebbe per te l’assegnazione di questo premio?

I riconoscimenti sono delle mete pericolose, ma aiutano a mettere in comunicazione quello che dentro di coviamo e che ad altri può essere utile. Oggi difendere gli alberi è una meta che interessa al pianeta e all’uomo per l’aria che respira.
A cosa stai lavorando?

Sto lavorando ad un poema dal titolo “Il mio sogno amerindio”.
Il messaggio di Marcia è forte, nasce dal profondo, ha radici robuste e solide come quelle degli alberi della foresta, come Kupahùba, l’Albero dello Spirito Santo. E accenna ad una riflessione sottile, importante, urgente, indispensabile per un cambiamento: considerare per un solo istante che la ricchezza economica dell’occidente trascina la miseria dell’ignoranza e la povertà del Brasile, di chi non può comprare un chilo di zucchero, riconosce il significato della vita nell’unitarietà di tutti gli esseri viventi.

POESIE

Folle risata

Folle risata la tua, dall’eco affilata
Manioca selvaggia è il tuo riso
le tue carezze, il tuo acuto piacere,
Kupahùba vive, va e viene
Fino a che il sole scompare.
Di giorno tra foglie, erbe, insetti,
decomposte materie vegetali:
ci moltiplicheremo.
Il movimento non è deserto, è fiume
ruba, saccheggia, bevi ciò che vuoi
questo fiume è abbondante
non si ferma, ma continua
per cantare il suono delle parole
Açanà, Yanà, Nacaìra
Cajà, Pacoba, Maçarandùba
ogni parola un essere, parole che scrivo
la foresta è il mio dizionario
parole vive e masticate
aspre di cammini già percorsi
Açanà, Tapajurà, Igarapé
ogni parola un essere, risuona affilata.
Kupahùba aprì gli occhi e apprese a leggere.

(da: Kupahùba, 2000)

Ycamiaba

Nel cielo è rimasta l’acqua delle piogge
ti ha concepito il ventre della terra
congregando energie sessuali
per aprire e fecondare l’universo
legno rosso dell’albero Ibirapitanga
brasilaçù, brasilete, brasileto
brace ardente, Brasile.

Le capanne vicino al lago Yaciura,
vicino alle sorgenti
del fiume Yamundà, il fiume sacro.
Ycamiabas, donne senza uomo
Temute e coraggiose guerriere
I figli maschi dati ai genitori
Dalla luna, Yaci.
Amàzzoni, hanno lottato contro gli Iberici
Amazzonia, designata regione
dell’Asia Minore
Ycamiabas, le figlie di Yací
le figlie della luna
nel fiume Yamundá
Amazzoni, figlie di Yací
donne guerriere, Ycamiabas.
Le loro sementi, radici della vita
concepiscono il legno vivo come la brace
vento della notte, aroeira, murta
araçá, cresce dal tuo ventre
fertilità nasce dall’acqua
battaglia dall’eco immensa, mormorio
Tarumá, arití, tarumá
colore giallo, brace, Brasile
lo spirito dei venti, i tuoni
la naturale lentezza
serrado, serrado
serra oh pau-brasil
oh luna Yací
serrado, serrado
pau-brasil
oh Yací, o Yacì
madre di Ycamiaba
color verde, giallo, azzurro, d’estate
nasce il suolo brasiliano
radice, sapore aromatico, legno
“Tu magnifica Ycamiaba,
io ti proclamo Amazzone”.

Radici, sapore aromatico, legno
“tu, magnifica Ycamiaba,
io ti proclamo Amàzzone” quando
il lussureggiante verde delle acque
degli alberi, lussureggianti uccelli
ricchezza che nasce dal tuo ventre

Yacamiaba, figlia della luna
Allegra gente natìa
la lontra, l’irara, il tamanduà,
il capivara, l’armadillo, il cuatì,
magnifica Ycamiaba
figlia della Luna.

(da Kupahùba, 2000)

Una poesia evocativa che recupera il nome originale del Brasile e ci immerge nella musicalità della lingua tupì.

Catueté Curupira

Catueté Curupira
ieri per la prima volta apparvero
le prime rughe sul volto della terra
stravolta nelle viscere
le navi le acque
si moltiplicano senza fine.
Catueté Curupira
le foreste ti chiamano
a punire quelli che atterrano
e abbattono gli animali
e spaventano gli alberi
facendoli credere soli

in mezzo al bosco
gli alberi affamati
gli alberi allucinati
in mezzo al bosco
in mezzo al cemento gli alberi t’implorano
tamacueré yndayara Catueté Curupira

molti alberi trovati affamati
moribondi
raccontando storie cupe e fantastiche
di città distrutte
sono gli unici testimoni vivi o semi-vivi
di quello che rimane dell’uomo
tim tim he taya boya
le ombre in curve rigide
i rami secchi all’estremità
si tendono a cogliere gli uomini più teneri
divorandoli
l’uomo impaurito continua
cavalcando motociclette
che emettono un forte grugnito
prima della partenza
e fanno fuggire gli animali
uccidendo il verde.
Il verde continua a crescere sotto la polvere
sugli alberi coperti di chiodi e di calce
il verde rinasce primavera
insistendo nel suo ultimo grido
viso senza colore e senza sangue
i fiumi marciscono
i vecchi assistono ansiosi
ai comodi e alle voglie dei giovani
il mondo mostra le sue ferite
attraverso un apparecchio che ripete
immagini di distruzione.

Catueté Curupira
le foreste ti chiamano.

(da. Io canto l’Amazzonia, 1992)

Nota bio-bibliografica

Màrcia Théophilo nasce a Fortaleza, capitale dello stato di Cearà, nel Nord-Est del Brasile. Studia Antropologia a Rio de Janeiro, San Paulo e Roma, dove consegue il dottorato. Ha due figlie che vivono in Brasile.
Nel 1971 viene in Italia come esiliata politica, sfuggendo al regime militare che aveva imposto severe leggi sulla censura. Qui in Italia si impegna a mantenere relazioni culturali tra l’Italia e il Brasile, rappresentando l’Unione Brasiliana di Scrittori. Nel corso degli anni ha organizzato incontri di poesia, ha tradotto in portoghese poeti italiani e in italiano poeti brasiliani.
Ha scritto saggi: Ritorni di un poeta assassinato, omaggio a Federico Garcia Lorca (Ed. Nuovi sentieri, Roma 1976), Il massacro degli indios nel Brasile d’oggi (Euno, Enna 1977); pièces teatrali: Arapuca (Ed. I Manoscritti del Ciclope, Roma 1979), “Dica a quelli che è da parte di Dulce” prefato da Dacia Maraini; testi didattici: Gli indios del Brasile (Nuove Edizioni Romane, Roma 1978); racconti: Os convites (Ed. Facoltà di Sociologia e Politica, Università di Sao Paulo, 1968). Ma la ricca opera poetica segna gran parte della sua carriera. Ricordiamo: Conções de Outono (Ed. Il Manoscritto, Roma 1977); Catuete Curupira (ed. La Ninea, 1983, Premio Minerva); Il fiume, l’uccello, le nuvole (Rossi&Spera, 1987); Io canto l’Amazzonia (Ed dell’Elefante, 1992, Premio Città di Roma); I bambini Giaguaro (Ed. De Luca, 1995, Premio Fregene) prefato da Mario Luzi; Kupahùba (Ed Tallone, 2000) prefato da Mario Luzi. Fa parte di numerose antologie poetiche.
La sua poetica è tutta incentrata sulla natura, sui miti e le leggende della foresta Amazzonica, sui popoli indigeni e sulla denuncia dello scempio che ai suoi danni si compie e all’impegno di salvaguardare il patrimonio naturale dalle aggressioni della civilizzazione.
Nel 1997 le viene assegnato il Premio Nuove Scrittrici, premio alla carriera. Nel 1999 il Premio Calliope per poesia inedita ed è candidata al Premio Nobel.
Oggi vive tra Roma e il Brasile.

Riconoscimenti e Premi

Ha partecipato come poeta ad innumerevoli manifestazioni come ad esempio: il “Poetry International” (Rotterdam, 1977) la “Convenzione Internazionale di Poesia” (Struga, Jugoslávia, 1978), il “Congresso di Scrittori Europei” (Firenze, 1978), “Incontro Nazionale di Poesia”, S. Paolo, 1979, o “Incontro con la poesia Brasiliana” (Roma, 1983), il “Festival Internazionale de Poeti di Piazza di Siena” (Roma, 1983 e 1984), il “Festival di Letteratura dell’Orto Botanico”, (Roma, 1988) la manifestazione della Biblioteca Centrale di Roma “Voci di vita”(Roma, 1989), Recital di Poesia della Fiera del Libro di Francoforte (Francoforte, Germania, 1994), a manifestazione poetica della Biblioteca Municipale di S. Paolo “Scrittori nella Biblioteca” (S. Paulo, 1994), la “Manifestazione Poetica del Premio Feronia” (Roma, 1999) al “21 marzo 2000: Prima giornata mondiale della poesia.Festa della Poesia” (Roma,2000).